Un giovane stava cacciando per le montagne, un’Aquila volteggiando sopra di lui si posò in cima ad una rupe. L’Aquila era straordinariamente maestosa e serrava nel becco un serpente. Dopo un po’ l’Aquila volò via dalla cresta dove aveva il nido. Il ragazzo allora si arrampicò sulla cima della rupe dove vide, nel nido, il piccolo dell’aquila giocare con il serpente morto. Ma il serpente non era davvero morto!
All’improvviso infatti si mosse di scatto rivelando i suoi denti aguzzi ed era pronto a penetrare l’aquilotto con un veleno mortale. Repentinamente, il giovane tirò fuori arco e freccia e uccise il serpente. Poi prese l’aquilotto e si avviò verso casa. All’improvviso il giovane sentì sopra di lui un fragoroso suono, era il frullare delle immense ali dell’Aquila.
“Perché rapisci mio figlio?” gridò forte l’ Aquila. “Il piccolo è mio, perché l’ho salvato dal serpente che tu non avevi ucciso” rispose il ragazzo
“Restituiscimi mio figlio” disse il rapace ”e io ti darò come ricompensa l’acutezza dei miei occhi e la potente forza delle mie ali. Tu diventerai invincibile e nel mio nome sarai osannato.”
Così il giovane consegnò l’aquilotto. Quest’ultimo crebbe, e volava sempre sopra la testa del ragazzo, ormai un uomo pienamente cresciuto, che con il suo arco e frecce uccideva molte bestie selvatiche e con la sua spada ammazzava molti nemici di quelle lande. Durante tutte queste imprese, l’Aquila, fedelmente lo guardava dall’alto e lo guidava. Sbalorditi dalle gesta del valoroso cacciatore, le genti di quella terra lo incoronarono re e lo chiamarono “Shqipëtar” (albanese), che vuol dire figlio dell’Aquila e il suo regno divenne conosciuto come Shqipëri (Albania) o Terra delle Aquile.
Scanderberg, la leggenda di un «eroe moderno»
Breve analisi illustrativa
Il rafforzamento dei signori feudali e dei principi albanesi, come risultato di un lungo e doloroso processo di sviluppo politico-sociale ed economico-culturale iniziato nel IX secolo, portò alla formazione di diversi principati feudali in diverse regioni dell’Albania etnica. La posizione geografica dell’Albania, situata tra l’oriente bizantino e l’occidente cattolico, fece dividere gli albanesi in due credi religiosi: a nord i cattolici e a sud gli ortodossi cristiani. Come se non bastasse gli stessi principi feudali albanesi lottavano tra di loro per allargare le terre e il dominio sugli altri principati più deboli.
La situazione dei principati albanesi si complicò ulteriormente dalle interferenze della Repubblica di Venezia e dell’Impero Ottomano che si rilevarono devastanti per le loro sorti. Nelle civiltà in conflitto fra Oriente e Occidente, comincia a profilarsi sull’orizzonte orientale il piano di un impero islamico universale. Senza pietà l’Impero Ottomano divorava popoli e nazioni, allargando tra il 1300 e il 1481 le sue conquiste tramite guerre, alleanze e invasioni. Tutto grazie anche al crollo e alla degenerazione del sistema culturale e militare bizantino che aveva perso ormai l’influenza di un tempo.
Una delle figure importanti tra i principi albanesi più potenti in quell’epoca, era Gjon Kastrioti - Principe di Kruja e di Mati, al quale nel 1423 gli ottomani presero in ostaggio i quattro figli. Tra loro anche Gjergj Kastrioti Scanderbeg nato nel 1405. Strappato dalla sua famiglia e dal suo paese, il giovane principe fu trascinato nel palazzo del Sultano dove sarà destinato a diventare il comandante più brillante del suo tempo. Spogliato del suo nome albanese e costretto ad accettare l’islam, il sultano Murad II darà a Gjergj Kastrioti il titolo ‘Scanderbeg’ in onore di Alessandro Magno della Macedonia (Emathia) come indice chiaro dell’antico rapporto etnico-linguistico che legava le due figure. In lingua turca ‘Iscander’ vuol dire ‘Alessandro’ e ‘Bey’ vuol dire ‘Principe’.
Gli storici antichi ci hanno lasciato documenti che dimostrano che Alessandro Magno era il figlio del re macedone Filippo II e di Olimpia, una principessa illirica figlia del re dell’Epiro Neoptolemi I. Come testimone di questo antico legame riportiamo una significativa citazione della corrispondenza tra Scanderbeg e il Principe di Taranto, estratto da “I turchi e la storia di Scanderbeg” dello scrittore del XV secolo, Pagnel:
“…avete offeso il mio popolo chiamandolo ‘pecore Albanesi’ e secondo la vostra tradizione pensate a noi in termini offensivi.
Voi avete dimostrato di non avere alcuna conoscenza della mia razza. I miei avi erano Epirioti, da dove proveniva Pirro, la cui forza a stento poteva essere sopportata dai romani. Questo Pirro, che Taranto e molti altri paesi d’Italia appoggiarono con l’esercito. Non ho bisogno di parlare degli Epirioti. Loro sono uomini molto più forti dei tuoi tarantini, una specie di uomini umidi nati solo per pescare. Se si vuole dire che l’Albania sia una parte della Macedonia, io posso concedere che molti dei nostri antenati erano nobili che si spinsero fino in India, sotto il comando di Alessandro Magno sconfiggendo quei popoli. È da questi uomini che discendono quelli che tu chiami ‘pecore’. Ma la natura delle cose non è cambiata. Perché i tuoi uomini fuggono davanti a queste ‘pecore’?”.
Per non parlare dell’elmo che porta in sé il simbolo pelasgico della capra Amaltea (che secondo il mito aveva nutrito con il suo latte Zeus da bambino), e la incisione * IN * PE * RA * TO * RE BT * (Jhezus Nazarenus * Principi Emathie * Regi Albaniae * Terrori Osmanorum * Regi Epirotarum * Benedictat Te) che si traduce ‘Jezus di Nazareth benedice il Principe di Emathia, Re d’Albania, Terrore degli Ottomani, Re dell’Epiro’. È importante capire che nel medioevo l’etnicita ‘macedone’ ed ‘epiriota’ era sinonimo di ‘albanese’ secondo gli studiosi.
Nel suo intervento al documentario, il Prof. Jahja Drancolli evidenzia il fatto che Scanderbeg fu preso ostaggio già in età adulta quando la sua personalità e identità era ben formata, sottolineando che in realtà furono le sue capacità strategico-militari ad essere copiate dal sistema militare dell’Impero Ottomano e non il contrario. Questo aspetto emerge fin dall’inizio del documentario dal Prof. David Nicolle, il quale sostiene che gli ottomani copiarono molte cose dai paesi che occuparono incluso l’abbigliamento, le tradizioni, la cultura, e anche le strategie combattive militari.
Ecco perché la più potente macchina politico-militare del mondo di quel tempo non fu capace di sottomettere gli albanesi né con la forza, né con la quantità dei soldati inviati, né con la tattica militare, né con la tecnologia o con il denaro. Non solo, ma durante quei 25 anni di resistenza armata, l’Impero Ottomano è stato sconfitto in modo determinante e continuo, dimostrando che le qualità intellettuali, politiche, militari, e, soprattutto quelli morali e civili degli Albanesi erano sotto ogni aspetto superiori rispetto alla preparazione standard dell’Impero.
Voi avete dimostrato di non avere alcuna conoscenza della mia razza. I miei avi erano Epirioti, da dove proveniva Pirro, la cui forza a stento poteva essere sopportata dai romani. Questo Pirro, che Taranto e molti altri paesi d’Italia appoggiarono con l’esercito. Non ho bisogno di parlare degli Epirioti. Loro sono uomini molto più forti dei tuoi tarantini, una specie di uomini umidi nati solo per pescare. Se si vuole dire che l’Albania sia una parte della Macedonia, io posso concedere che molti dei nostri antenati erano nobili che si spinsero fino in India, sotto il comando di Alessandro Magno sconfiggendo quei popoli. È da questi uomini che discendono quelli che tu chiami ‘pecore’. Ma la natura delle cose non è cambiata. Perché i tuoi uomini fuggono davanti a queste ‘pecore’?”.
Per non parlare dell’elmo che porta in sé il simbolo pelasgico della capra Amaltea (che secondo il mito aveva nutrito con il suo latte Zeus da bambino), e la incisione * IN * PE * RA * TO * RE BT * (Jhezus Nazarenus * Principi Emathie * Regi Albaniae * Terrori Osmanorum * Regi Epirotarum * Benedictat Te) che si traduce ‘Jezus di Nazareth benedice il Principe di Emathia, Re d’Albania, Terrore degli Ottomani, Re dell’Epiro’. È importante capire che nel medioevo l’etnicita ‘macedone’ ed ‘epiriota’ era sinonimo di ‘albanese’ secondo gli studiosi.
Nel suo intervento al documentario, il Prof. Jahja Drancolli evidenzia il fatto che Scanderbeg fu preso ostaggio già in età adulta quando la sua personalità e identità era ben formata, sottolineando che in realtà furono le sue capacità strategico-militari ad essere copiate dal sistema militare dell’Impero Ottomano e non il contrario. Questo aspetto emerge fin dall’inizio del documentario dal Prof. David Nicolle, il quale sostiene che gli ottomani copiarono molte cose dai paesi che occuparono incluso l’abbigliamento, le tradizioni, la cultura, e anche le strategie combattive militari.
Ecco perché la più potente macchina politico-militare del mondo di quel tempo non fu capace di sottomettere gli albanesi né con la forza, né con la quantità dei soldati inviati, né con la tattica militare, né con la tecnologia o con il denaro. Non solo, ma durante quei 25 anni di resistenza armata, l’Impero Ottomano è stato sconfitto in modo determinante e continuo, dimostrando che le qualità intellettuali, politiche, militari, e, soprattutto quelli morali e civili degli Albanesi erano sotto ogni aspetto superiori rispetto alla preparazione standard dell’Impero.
La società albanese del XV secolo possedeva già la qualità principale che dovrebbe avere una comunità per costruire una Nazione e uno Stato: la consapevolezza di chi erano, la conoscenza delle loro antichissime radici illiro-pelasgiche e di conseguenza la connessione con il loro passato. Tutto ciò era il risultato di un lungo processo che avrebbe avuto inizio già prima della creazione del Principato di Arbëri nel XIII secolo. In questo contesto le intenzioni di Scanderbeg non erano solo quelle di creare uno stato albanese alla periferia dell’Impero Ottomano, ma di distruggere l’impero stesso, per formare poi il Regno dell’Albania nei Balcani occidentali, ravvivando i gloriosi tempi di Pirro, Re dell’Epiro, e di Giustiniano, Imperatore di Bisanzio, dei quali era discendente a tutti gli effetti.
Scanderbeg creò la prima Lega Nazionale Albanese nel 1444 a Lezha, con lo scopo di unire tutti i territori albanesi in un unico stato nazionale basato sull’eredità etno-linguistica che li accomunava, diversamente dagli altri paesi balcanici che nei secoli addietro per la creazione dei loro stati si basarono sulla religione. Come specifica giustamente il Prof. Kristo Frasheri, il pilastro portante in cui si colloca tutta la resistenza albanese era il fatto incontestabile che gli Albanesi erano consapevoli di essere una Nazione già ben formata, molto tempo prima dell’arrivo degli ottomani nei Balcani. Altrimenti non saremmo mai stati in grado di affrontare l’invasione ottomana e di contrastare a lungo l’assimilazione.
La resistenza di Scanderbeg ebbe grande risonanza in Occidente, là dove si aspirava a un grande eroe trionfante nella lotta per la sopravvivenza contro l’Impero Ottomano. Infatti i documenti degli archivi, i giudizi dei suoi contemporanei come i Papi di Roma o le famiglie reali con i quali Scanderbeg aveva stipolato alleanze, l’Umanismo e l’Illuminismo europeo, la storiografia, ecc., fanno capire che era una delle figure più importanti del Sud-Est Europa della sua epoca.
È di massima importanza comprendere che gli albanesi con la loro resistenza contro l’Impero Ottomano sacrificarono la loro stessa nazione, salvando così la civiltà occidentale dalla conquista dei turchi, quella stessa civiltà occidentale che li abbandono al loro tragico destino di sofferenze per 400 anni. Gjergj Kastrioti Scanderbeg era certamente un uomo, ma la storia che ci ha lasciato e ci ha tramandato non lo rende un uomo semplice e ordinario, ma una legenda vivente nei secoli a venire. Lui era il modello e il simbolo di una giusta causa: la libertà contro la schiavitù, la ragione e l’ordine politico contro l’oppressione, valori fatti successivamente propri dalla filosofia illuminista.
Il suo contributo non andò invano e non morì con lui, anzi, divenne la fonte del Rinascimento Albanese, dello sforzo sublime per l’indipendenza. Lui era e rimane il nucleo dell’identità nazionale, dell’eredità spirituale e della coscienza contemporanea di ogni albanese.
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